JOHN DUNCAN

THERE MUST BE A WAY ACROSS THIS RIVER… a Valentine’s Day dedication

È un insolito San Valentino, questo, per Sant’Andrea degli Amplificatori, che per l’occasione si fregia della presenza di un maestro dell’avanguardia statiunitense come John Duncan. La sua esibizione si chiama “There must be a way across this river, a Valentine’s Day dedication”, come a dirci, forse, che c’è un modo per uscire dal tunnel, c’è un modo di superare i nostri personali demoni. Un ‘viaggio al termine della notte’ che si delinea per mezzo di un tape-recorder Revox piazzato vicino al muro del finto palco che funziona meccanicamente per mezzo di nastri che percorsono lungo il basso soffito e generano un sibilo acuto e sottile a mo’ di spina dorsale della sintetica esecuzione dedicata alla festa degli innamorati. Le frase si ripetono ora lente ora più teatrali, cambia l’atmosfera mente si avverte una strana sensazione di glaciale cristallizzazione che lascia stupito ed attonito il pubblico. “A corridor leads to a descending ramp, to a larger chamber, to another corridor, always sloping downward. The temperature grows colder as we descend, moving deeper underground. The cold becomes unbearable…”, recita Duncan come a ribadire la presenza degli spiriti ancestrali di una lontana tribù che aleggia sopra i nostri corpi infreddoliti — e non a caso prima di iniziare il set ci aveva chiesto se eravamo muniti di giacche per proteggerci dal freddo che sarebbe inevitabilmente arrivato. Un ‘doppio sogno’ che ci avvolge e ci inquieta ma che siamo felici di aver provato quasi sognando a occhi aperti. Prendiamo a prestito una frase di Edoardo Bruno, che ama ripetere: “quando si va al cinema non si vede quel che si vede, ma si vede quel che si sogna…” Ebbene, noi questa notte abbiamo sognato quello che abbiamo ascoltato in un sonno simulato durato appena mezz’ora ma dall’intensità e dal rapimento che non capitano spesso.
–Maurizio Inchingoli, Blow Up (numero 131, Aprile 2009)

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